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Secondo Rocca racconta con solarità l’infanzia nell’ex caserma dei carabinieri in via Nicolosino, in borgo San Giovanni, e l’abbandono della scuola per apprendere un mestiere, quello di scultore. Non manca di ricordare, come molti suoi coetanei, l’arrivo di Mussolini a Savigliano e il boato della gente che lo applaudiva, la fucilazione dei martiri Barberis e Chiarofonte in piazza Santarosa, e la fucilazione da parte dei partigiani di una donna accusata di collaborare con i Muti. Da qui la sua riflessione sul ruolo della donna, all’epoca poco considerata e trascurata, lasciata alle faccende domestiche. La sua serenità non si spegne nemmeno nel racconto del fratello gemello, ragazzo con grandissima volontà, tale da farsi forza dopo una malattia infantile. Secondo ammira la tenacia con cui il gemello sacrificava le pause pranzo per rammendare pantaloni e imparare il mestiere, racimolando altro denaro. Ci parla poi della sua passione, il calcio, sovrastata dalla volontà del padre che invece volle avvicinarlo al pianoforte, grazie al quale trovò lavoro nelle sale da ballo. Ma se il denaro scarseggiava, il lavoro non mancava affatto, la sua carriera vide due anni di lavoro alla SNOS in concomitanza con lavoretti da apprendista-scultore, iniziato come apprendista nella bottega di Crosetto e poi come scultore di casse da morto. Il suo nome compare poco dato che le commissioni affidategli erano dei falegnami, ma lavorò addirittura al Milanollo, la chiesa di Sant’Andrea e per alcune chiesette di campagna. Delle Feste del Grano ricorda soprattutto gli stand degli artigiani e Modugno, un modello importante per la sua attività di pianista. Appassionata la sua descrizione dei Maghi, di Mario Re Cit e dei suoi interventi quando il fiume era in piena, del suo lavoro che è una grande passione prima ancora di un mezzo per vivere.
Ormai non vive più in condizioni disagiate, ma la sua era una povertà che non spegneva lo spirito, che spingeva a migliorarsi nel mestiere e nella persona, nonostante la penuria di cibo, i vestiti aggiustati e rattoppati, gli zoccoli di legno. Ci suggerisce poi ancora che, non per discriminazione, ma i saviglianesi vedevano diversamente la povertà delle famiglie di immigrati meridionali, poco apprezzati, e quella loro e dei mendicanti, uno fra tutti “Il Sordomuto”, al quale passavano invece del cibo o facevano “la duna”, una sorta di elemosina.

(Dalla raccolta “La Città ritrovata” – Il video integrale – durata 01:03:44 – è conservato presso l’Archivio Storico Città di Savigliano)

 

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Titolo originale: La Città Ritrovata – Secondo Rocca
Datazione: Anni '30 - 2009
Argomento: Lavoro e occupazione; Individuo e società; Cultura e arte